La Plastica

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La plastica è sempre più presente nella vita quotidiana. Dalla moda all’arte, dall’edilizia all’elettronica la plastica ha un ruolo fondamentale. Ma chi l’ha inventata ? O meglio, quale è stata la sua evoluzione ? Seguiamone la storia.

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Alexander Parkes

Objects made from Parkesine, c 1860.

Oggetti fatti di Parkesine, c 1860.

Tra il 1863 ed il 1869 comparve la Celluloide inventata da John Wesley Hyatt, un giovane tipografo di Starkey nello stato di New York, e che ebbe un diffuso utilizzo fino alla metà del Novecento, quando venne progressivamente sostituita da sostanze plastiche più moderne principalmente a causa della sua altissima infiammabilità.

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John Wesley Hyatt

A spingere John Wesley Hyatt nella ricerca di questo nuovo materiale fu un bando di concorso promosso dalla ditta Phelan and Collander, produttrice di palle da biliardo. Nel bando si prometteva un premio di diecimila dollari a chi avesse sviluppato una sostanza capace di sostituire l’avorio con cui venivano prodotte e che stava scarseggiando.
Il tipografo si impegnò nella ricerca di un materiale alternativo e iniziò una serie di esperimenti con la Parkesine.

John Wesley Hyatt, partendo da questo composto a base di nitrato di cellulosa, ottenne la celluloide.
Bisognerà attendere il 1887 e il pastore Hannibal Williston Goodwin per vedere la celluloide brevettata come supporto per le pellicole fotografiche.

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E questo costituì una vera rivoluzione nel campo della fotografia, rendendo possibile la nascita della cinematografia.

Albany Dental Plate Company

Albany Dental Plate Company

La prima fabbrica della nuova materia plastica artificiale si chiamò Albany Dental Plate Company e fu fondata nel 1870 nel New Jersey.
Il suo nome si spiega col fatto che uno dei primissimi impieghi della celluloide fu da parte dei dentisti che la usarono al posto della gomma vulcanizzata, allora molto costosa, per ottenere le impronte dentarie.
Due anni più tardi la Dental Plate Company si trasformò in Celluloid Manufacturing Company con uno stabilimento a Newark, nel New Jersey. E’ questa la prima volta che compare il termine celluloide (derivato da cellulosa), marchio depositato destinato ad avere molta fortuna negli anni successivi tanto da diventare un nome comune per indicare, in generale, le materie plastiche a base di cellulosa, e non soltanto quelle.

La celluloide si lavora manualmente in modo eccellente e, se scaldata in acqua bollente, può essere modellata. E’ perciò un materiale di base ideale per oggetti d’uso comune o decorativi, come penne stilografiche, pettini, accessori, ciotole, articoli da bagno e altri ancora.
Tuttavia è un materiale altamente infiammabile, che brucia molto violentemente e velocemente. Per questo motivo, venne in breve tempo soppiantata da altri materiali plastici.

Alcuni oggetti in celluloide dei primi del ‘900:

Occhiali pieghevoli, 1900

Occhiali pieghevoli, 1900

Portagomitolo , 1910

Portagomitolo , 1910

Orologio, 1930

Orologio, 1930

Scatola da cucito, 1930

Scatola da cucito, 1930

 

Nel 1907 il chimico belga Leo Baekeland ottiene per condensazione tra fenolo e formaldeide la prima resina termoindurente di origine sintetica, che brevetterà nel 1910 con il nome dei Bakelite. Il nuovo materiale ha un successo travolgente e la Bakelite diviene in breve e per molti anni la materia plastica più diffusa ed utilizzata.

Leo Baekeland

Leo Baekeland

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Telefono in bachelite

 

Nel 1912 un chimico tedesco, Fritz Klatte, scopre il processo per la produzione del polivinilcloruro (PVC), che avrà grandissimi sviluppi industriali solo molti anni dopo. Il cloruro di polivinile fu osservato per caso in due occasioni nel corso del XIX secolo, prima nel 1835 da Henri Victor Regnault e quindi nel 1872 da Eugen Baumann

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Fritz Klatte

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Oggetti in PVC

 

Un anno dopo, nel 1913, è la volta del primo materiale flessibile, trasparente ed impermeabile che trova subito applicazione nel campo dell’imballaggio: lo Svizzero Jacques Edwin Brandenberger inventa il Cellophane, un materiale a base cellulosica prodotto in fogli sottilissimi e flessibili.

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Cellophane

 

Negli anni ’20 ebbe un ruolo fondamentale Hermann Staudinger dell’Università di Friburgo

Hermann Staudinger

Fondatore della chimica dei polimeri, ossia di quelle molecole giganti (macromolecole) che sono costituite dall’unione di parecchie unità di molecole relativamente semplici dette monomeri, in modo da presentare un certo modello ricorrente. Staudinger fu il primo a riconoscere l’esistenza delle macromolecole, a determinare le loro strutture, a studiare le loro possibilità di sintesi, a scoprire che esse costituiscono la maggior parte delle sostanze biologiche. Dal 1920, per trent’anni egli dedicò le sue ricerche ai polimeri che oggi sono alla base dell’industria delle materie plastiche e della gomma sintetica. Per i suoi studi gli fu assegnato il premio Nobel per la chimica nel 1953.

Negli anni ’30 il petrolio diviene la “materia prima” da cui partire per la produzione di materie plastiche. Al contempo le tecniche di lavorazione migliorano e si adattano alle produzioni massive, a cominciare da quelle di stampaggio.

Nel 1935 Wallace Carothers sintetizza per primo il nylon (poliammide), una materiale che si diffonderà con la guerra al seguito delle truppe americane trovando una quantità di applicazioni, grazie alle sue caratteristiche che lo rendono assolutamente funzionale all’industria tessile: dalle calze da donna ai paracadute, inizia l’ascesa delle “fibre sintetiche”.

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Wallace Carothers

Partendo dal lavoro di Carothers, Rex Whinfield e James Tennant Dickson nel 1941 brevettano il polietilene tereftalato (PET), insieme con il loro datore di lavoro, la Calico Printers’ Association di Manchester.

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Rex Whinfield e James Tennant Dickson

Nel dopoguerra questo poliestere ebbe grande successo nella produzione di fibre tessili artificiali (Terylene), settore nel quale è largamente impiegato tuttora (per esempio, è in PET il tessuto noto come pile). Il suo ingresso nel mondo dell’imballaggio alimentare risale al 1973, quando Nathaniel Wyeth (Du Pont) brevettò la bottiglia in PET come contenitore per le bevande gassate. Leggera, resistente agli urti e trasparente, la bottiglia inventata da Wyeth è oggi lo standard per il confezionamento delle acque minerali e delle bibite.

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Nathaniel C. Wyeth

 

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Gli anni ’50 vedono la scoperta delle resine melammina-formaldeide (il vasto pubblico le conosce sotto la denominazione commerciale di una specifica tra esse, la “Fòrmica”), che permettono di produrre laminati per l’arredamento e di stampare stoviglie a basso prezzo, mentre le “fibre sintetiche” (poliestere, nylon) vivono il loro primo boom, alternativa “moderna” e pratica a quelle naturali.

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Fòrmica

Quegli stessi anni sono però soprattutto segnati dall’irresistibile ascesa del Polietilene, che trova pieno successo solo due decenni dopo la sua invenzione, sfruttando il suo più elevato punto di fusione per permettere applicazioni sino ad allora impensabili.

Nel 1954 Giulio Natta scopre del Polipropilene isotattico, a coronamento degli studi sui catalizzatori di polimerizzazione dell’etilene che gli varranno nel 1963 il Premio Nobel insieme al Tedesco Karl Ziegler, che l’anno precedente aveva isolato il polietilene. Il Polipropilene sarà prodotto industrialmente dal 1957 col marchio “Moplen”,  rivoluzionando le case di tutto il mondo ma entrando soprattutto nella mitologia italiana del “boom economico”.

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Giulio Natta

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Karl Ziegler

 

 

 

 

 

 

 

 

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Conformazione della catena di polipropilene isotattico

 

Gli anni ’60 vedono il definitivo affermarsi della plastica come insostituibile strumento della vita quotidiana e come “nuova frontiera” anche nel campo della moda, del design e dell’arte. Il “nuovo” materiale irrompe nel quotidiano e nell’immaginario di milioni di persone, nelle cucine, nei salotti, permettendo a masse sempre più vaste di accedere a consumi prima riservati a pochi privilegiati, semplificando un’infinità di gesti quotidiani, colorando le case, rivoluzionando abitudini consolidate da secoli e contribuendo a creare lo “stile di vita moderno”.

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Opera d’arte di Crystal Wagner in plastica

 

I decenni successivi sono quelli della grande crescita tecnologica, della progressiva affermazione per applicazioni sempre più sofisticate ed impensabili, grazie allo sviluppo dei cosìddetti “tecnopolimeri”. Il polimetilpentene (o TPX) utilizzato soprattutto per la produzione di articoli per i laboratori clinici, resistente alla sterilizzazione e con una perfetta trasparenza; le poliimmidi, resine termoindurenti che non si alterano se sottoposte per periodi anche molto lunghi a temperature di 300°C e che per questo vengono utilizzate nell’industria automobilistica per componenti del motore o per i forni a microonde; le resine acetaliche, il polifenilene ossido, gli ionomeri, i polisolfoni, il polifenilene solfuro, il polibutilentereftalato, il policarbonato usato, fra l’altro, per produrre i caschi spaziali degli astronauti, le lenti a contatto, gli scudi antiproiettile. I “tecnopolimeri” hanno tali caratteristiche di resistenza sia termica che meccanica (peraltro ancora in parte inesplorate) da renderli spesso superiori ai metalli speciali o alla ceramica, tanto che vengono utilizzati nella produzione di palette per turbine e di altre componenti dei motori degli aviogetti, o nella produzione di pistoni e fasce elastiche per automobili.

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Esempio di Tecnopolimeri

Abbiamo visto come l’evoluzione delle materie plastiche sia stata lunga ma affascinante. Un aspetto molto importante, che meriterebbe un grande approfondimento, è il riciclo di essa. Non solo per l’ambiente ma anche perchè può tornare utile. Un esempio ?

Un team di ricercatori dell’Università della California Irvine ha sviluppato un nuovo processo chimico in grado di degradare materiali plastici in polietilene in combustibili liquidi e cere. Il metodo – spiegato dai ricercatori su Science – potrebbe aiutare a riciclare milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno e a trasformarle anche in “carburante” per le macchine o in cere usate nei processi di produzione industriale. La plastica costituisce una parte importante dei rifiuti dell’uomo. La produzione di polietilene e propilene supera i cento milioni di tonnellate metriche all’ anno e questi materiali costituiscono oltre il 60% del totale della plastica contenuta nei rifiuti solidi urbani.
Il carburante del futuro potrà quindi arrivare da bottiglie e sacchetti di plastica.
Come di consueto vi proponiamo un video selezionato da Youtube e vi esortiamo a riciclare in modo corretto sia la plastica che altri materiali, nel rispetto della nostra meravigliosa Terra.
Saluti da OperaIdeas.

La storia della plastica
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